La selezione dei contenuti va effettuata non solo su principi di brevità oppure in termini decorativi ma pensando alla suggestione, al coinvolgimento e quindi alle riflessioni o addirittura alle azioni che potrebbero indurre.
Bella questa riflessione di Luca Rosati (che a sua volta si ispira ad atri autori come la scrittrice e blogger Yvonne Bindi) su quali parole scegliere per comporre i contenuti testuali delle nostre interfacce.
La scelta obbligata è quella di produrre poco, necessariamente, nell’era della compulsività piuttosto che dello scanning – che sostituiscono riflessioni e letture approfondite di un tempo – ma ciò non vuol dire che un testo (ma il ragionamento potrebbe essere efficacemente esteso al concetto più generico di contenuto) non debba essere di qualità e soprattutto capace di suggestionare, coinvolgere e addirittura chiamare all’azione, nel senso delle agognate interazioni e !conversioni.
Realizzare ed assemblare contenuti=parole che evocano colori, odori, immagini e suoni nella nostra testa vuol dire caratterizzare quanto da noi prodotto (sito web, app, ebook…) in maniera tale che non solo sia in grado di suggestionare il nostro interlocutore ma anche coinvolgerlo verso una qualsivoglia azione e, contemporaneamente, farsi notare ed indicizzare più efficacemente dalle entità artificiali che interagiscono con contenuti originali per presentarli in maniera più coinvolgente possibile ad interlocutori di bot, soocial network ed assistenti vocali.
In fondo, sintesi non vuol dire breve ma significa comporre, mettere insieme, in relazione ed è quello che le parole fanno da millenni (con l’aiuto della Rete da qualche anno a questa parte).