Gli algoritmi comandano la nostra quotidianità ed anche attività professionali ma, spesso, senza nessuna motivazione scientifica: il caso emblematico dell’accessibilità digitale.
Velocità della pagina Web? Performance delle campagne adwords? Tutti inginocchiati pedissequamente all’algoritmo di turno (spesso di Google) che attesta (?!?) la bontà del nostro operato. Alle riunioni, ai pranzi di lavoro tutti a rivendicare semaforini verdi o punteggi ottenuti al 100% (ahimé oltre non si può andare ed il nostro orgoglio deve avere un limite espressivo) senza pensare che forse sarebbe più opportuno implementare meccanismi di auto-valutazione ed ancor meglio test e procedure di ascolto coinvolgendo il nostro target di riferimento (oltre ovviamente a misurare conversioni e risultati REALI).
Anche su questo mi trovo tremendamente in minoranza come pensiero, lo ammetto: soffro tantissimo di questa mia incapacità di rivendicare un approccio letteralmente sganciato da automatismi di controllo ma continuo a credere nella capacità creativa, analitica, progettuale dell’essere umano superiore a qualsivoglia intelligenza artificiale ed è per questo che mi ha fatto molto piacere leggere il resoconto di uno sviluppatore austriaco (specializzato anche in accessibilità Web) che si è divertito a realizzare una pagina del tutto inaccessibile caratterizzata da attributi che l’hanno resa invisibile, non contrastata, non utilizzabile da tastiera e mouse, non utilizzabile da tecnologia assistiva (screen-reader), illeggibile eppure ottenendo dal sistema di controllo Lighthouse di Google Chrome (che utilizza il motore axe-core) un punteggio pieno (100!).
Ci tiene, l’apprezzato sviluppatore, a ribadire che tutto ciò non è un attacco diretto od una forma di denigrazione di strumenti come quelli citati che peraltro risultano molto utili nell’identificare in maniera veloce elementi di criticità eventualmente presenti in una pagina Web – e Lighthouse, ricordo, si occupa anche di svariati altri aspetti di analisi di possibili performance – ma un modo di rivendicare la superiorità umana nella capacità di analisi di situazioni complesse rispetto a qualsivoglia algoritmo (per ora…).
2 pensieri su “Sull’inutilità dei punteggi algoritmici”